martedì 29 luglio 2014

Velocisti e ciclisti...

Riporto per intero un bellissimo intervento di Paolo Rumiz sulla ciclabilità in Italia, è estratto da laRepubblica (Paolo Rumiz su Repubblica 29.07.14 ) perchè merita davvero.

In realtà segue a ruota un'ampia riflessione già lanciata da FIAB con questo articolo dal titolo: "Andare in bici non è ciclismo"

 MA SULLE NOSTRE STRADE LE DUE RUOTE SONO UNA SFIDA

MA NON basterà un Nibali a dare dignità alla bicicletta in Italia. Non basterà perché Nibali per primo è figlio — oltre che della sua classe — di un'altra cultura. Il campione di Messina difficilmente porterà i suoi figli su una pista ciclabile. Allo stesso modo, chi come me usa la bici per fare la spesa o andare in vacanza, non me lo vedo proprio andare a fare il tifo in una tappa del Giro. Appartengono a due mondi separati, che non si amano.

In Italia, i ciclisti competitivi vedono come fumo negli occhi quelli che rivendicano una mobilità dolce. La Federazione ciclistica nazionale non spinge i ragazzi verso l'educazione stradale, ma verso la gara. Nel 95 per cento dei negozi specializzati trovi tutto per la corsa, nulla per il viaggio. Se poi incontri turisti con le sacche sulle ruote, sai in anticipo che sono stranieri, e non sbagli. È un fatto: siamo e resteremo il Paese d'Europa con la viabilità più barbara verso chi tenta di rivendicare un diritto alla strada che non sia basato sulla forza.
Il problema è che l'Italia non riesce a difendere la lentezza e di conseguenza non riesce a conciliare quei due mondi incompatibili, come avviene invece in Francia e Germania. Ricordo che quando denunciai a lettere di fuoco il Far West delle nostre strade, dopo che un pazzo a bordo di un Suv aveva falciato sette gitanti in Calabria, un tizio mi scrisse che quel tipo di utenti delle due ruote era in realtà una banda di anarchici che passava col rosso, intralciava le auto e invadeva le aree pedonali. Gli risposi che conoscevo solo ciclisti ammazzati da automobilisti, e non viceversa. Ma non servì a nulla.
Chiedersi come abbia fatto Nibali a vincere il Tour avendo alle spalle un Paese con una delle mobilità più ostili d'Europa, è dunque un falso problema. Il nostro si è allenato in Toscana? Li ho visti in Toscana i ciclisti in allenamento. Ti tagliano la strada, inveiscono coloritamente, si infilano a velocità folle su strade con curve senza visibilità. Anzi, cercano proprio quelle. Corrono con mentalità automobilistica. Nibali è il frutto di questa selezione darwiniana, l'espressione paradossale di un ambiente ostile anziché favorevole alla bici.
La vittoria al Tour non cambierà dunque di un millimetro la politica dei trasporti che vede le due ruote nel ruolo di Cenerentola. Per cambiare abbiamo bisogno di altro: di bastian contrari come il professor Emilio Rigatti, che mi fece pedalare fino a Istanbul e che, ogni fine anno scolastico, porta i suoi allievi in bici a conoscere l'Italia.

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